MATISSE
Cominciamo dal trasloco..
… (temporaneo) del teatro all’Europauditorium, una sorta di fermata intermedia prima del trasferimento all’hub vaccinale (!) Difficile ipotizzare una locazione maggiormente scomoda, scarsamente servita dai mezzi pubblici (ridicola la proposta di una sorta di “tradotta” organizzata dal teatro), l’assenza dei taxi e la assoluta scomodità del parcheggio distante dall’ingresso del teatro (e se piove, come la mettiamo con le mises delle signore?). Un flop facilmente prevedibile che non fa che sottolineare l’impreparazione del management del teatro. Nonostante la chiusura della balconata molti posti vuoti in platea (anche considerando che per la “prima” si sono visti i soliti presenzialisti che ovviamente non saranno presenti alle successive opere). Solo un pugno di volonterosi ha rinnovato l’abbonamento che però vengono puniti nella loro buona volontà da un’organizzazione non da teatro serio. Ma forse è proprio l’attributo “serio” che deve essere definitivamente eliminato dal comunale di Bologna. Ovviamente la sala non è attrezzata tecnicamente e musicalmente per un’opera, e in particolare per un’opera di Wagner. Comunque un rimescolamento casuale dei posti mi ha collocato vicino a una spettatrice che durante il primo atto ha acceso il cellulare, spento dopo le mie rimostranze, di controvoglia. La maleducazione non muore mai. (Ma perchè venire a teatro se si è più interessati al cellulare che all’opera e quali sorti del mondo dipendono dal cellulare della spettatrice?). In compenso sono (siamo) stati separati dai nostri tradizionali “compagni di banco”, gli spettatori educati e competenti con i quali abbiamo diviso tante stagioni d’opera. Dilettantismo organizzativo o punizione voluta per i posts di Kurvenal? Der fliegende Hollander è un’opera della prima maturità di Wagner, la prima delle opere del compositore di Leipzig che viene rappresentata ai giorni nostri a Bayreuth (quelle precedenti Die Feen, Das Liebesverbot e Rienzi der letzte der Tribunen non vengono mai messe in scena). Un’opera a caratura romantica reminescente della frettolosa fuga del compositore insieme alla moglie Minna da Riga verso Londra, in ragione – come sarà caratteristica della sua vita – dei debiti non saldati fino all’approdo da Ludwig II di Baviera (che a causa sua fu in seguito “suicidato” mettendo termine al regno di Baviera), su un veliero “guscio di noce”, incappato in una furiosa tempesta. Romantica è certamente l’impostazione del Leitmotiv con i suoi salti fra tonica e dominante di re minore e romantico nella sua figura di maledetto, il personaggio dell’olandese salvato solo dal sacrificio di una donna redentrice, Senta. Un’opera che certamente risulta all’uditorio di più facile accettazione, ad esempio, rispetto al Tristan und Isolde e alla trilogia (con prologo) del Ring per non parlare del Parsifal, sia per la vicenda che per l’impostazione musicale che in larghissima misura si attiene alle armonie e agli stilemi classici della metà dell’ottocento. E’ questa una sottolineatura che deve ricordare come nella seconda metà dell’800 infuriò una violenta polemica fra i fautori del wagnerismo (fra i quali va ricordato un autore così colpevolmente trascurato in Italia come Hugo Wolf) e quelli della tradizione, capeggiati da Clara Schumann (diatriba simile a quella precedente fra il marito Robert Schumann e Hector Berlioz che vide coinvolto anche Henrik/Heinrich Heine) e che vide – anche se probabilmente controvoglia – fra i suoi alfieri anche Johannes Brahms (forse per devozione a Clara). Un’opera che al palato musicale dei fautori più sfegatati di Wagner può apparire di minore interesse e di minor valore. Non è qui il caso di addentrarsi in un’esegesi che sarebbe fuori luogo ma se posso inserire una valutazione del tutto personale, Der fliegende Hollander è un’opera per la quale non intraprenderei un viaggio a Bayreuth (come ho invece ripetutamente fatto ad esempio per Tristan, Ring e Parsifal ). Bene comunque ha fatto il teatro comunale a riprendere l’opera ricordando che Bologna è stata la prima città italiana a rappresentare un’opera di Wagner, il Lohengrin con il libretto in italiano (non esistevano allora i sopratitoli…) e la presenza (in incognito) di Giuseppe Verdi. Oggi i sopratitoli esistono ma, sventuratamente, a Bologna sono in inglese e italiano (con errori grossolani di grammatica e di traduzione) mentre l’originale è in tedesco. Cosa ci capa l’inglese fa parte dei misteri della disorganizzazione del teatro. Oksana Lyniv fa del suo meglio per adattare l’orchestra a una sala la cui acustica è da brivido e ci riesce solo in parte. Gli ottoni risultano regolarmente sorabbondanti e coprono spesso il resto dell’orchestra. Andrebbero moderati seppure venga loro affidato da Wagner una sezione importante del Leitmotiv. Bravissimo l’olandese di Thomas Johannes Mayer, voce cupa, scura, drammatica e potente. Riempie di sè la scena rimpicciolendo l’importanza degli altri interpreti. E da sottolineare la prova eccellente in un ruolo non facile di Adam Smith come Erik. Un ottimo tenore in tutti i registri. Controversa invece la prestazione di Elisabet Strid come Senta. Insufficiente nel secondo atto (in particolare nel racconto dell’olandese) cresce invece nel corso dell’opera e sostiene con potente drammaticità il terzo atto. Appena sufficiente il Daland di Peter Rose cui il regista addirittura affida il compito di mimare le forme di Senta (evviva il buon gusto!) mentre da dimenticare il timoniere di Paolo Antognetti, voce stridula e mai nella parte che addirittura si esibisce nel gesto dell’ombrello verso Daland (sic!). Un cenno specifico alla regia di Paul Curran, del tutto insufficiente e giustamente “buhato” alla fine dello spettacolo. L’artificio di proiettare un mare in tempesta per tutto il primo tempo è inutilmente eccesivo, così come il teschio in sovrimpressione e le macchine da cucire al posto degli arcolai nel secondo atto (una sorta di tributo al modernismo in una vicenda che di moderno non ha nulla). Ma è tutta la scena, l’impostazione del coro e i movimenti dei personaggi (il povero olandese dve barcamenarsi fra le macchine da cucire) che non funzionano. Insomma una regia da dimenticare. Alla fine dello spettacolo applausi per tutti (regista escluso) ed esibizione smodata della solita claque della quale il teatro sembra non potere fare a meno.
PS Non ho potuto inserire alcuna fotografia dello spettacolo perchè non reperibile a differenza di quanto avviene con i teatri come la Scala che nella locandina inserisce foto di scena. Ma questa è un’altra delle differenze fra un teatro serio e uno di periferia.
Direttrice Oksana Lyniv
Regia Paul Curran
Nuova produzione del TCBO
Interpreti principali
DALAND Peter Rose
L’OLANDESE Thomas Johannes Mayer
SENTA Elisabet Strid
ERIK Adam Smith
MARY Marina Ogii
Personalmente trovo le critiche verso la sede in Piazza della Costituzione come causa dell’assenza di pubblico del tutto infondate, dato che per Traviata il Teatro Europauditorium è sempre stato gremito. La provvisoria allocazione in fiera non si può ritenere scomoda in generale, dato che l’hinterland bolognese è molto più numeroso rispetto alla popolazione intra moenia e risulta molto più semplice parcheggiare. Tuttavia bisogna sottolineare la completa assenza di mezzi pubblici programmati per l’occasione, sintomo di un totale scollamento è una mancanza di comunicazione, nella migliore delle ipotesi, tra la dirigenza del teatro e gli enti pubblici. Nonostante io comprenda i motivi che hanno spinto molte persone, specialmente tra gli over 60 e abitanti del centro storico, lo zoccolo duro del teatro quindi, a non rinnovare, sono certo che il rinnovamento del teatro riporterà gli stessi appassionati a teatro. Non credo fossero possibili altre soluzioni, se non forse lo spostamento al Duse, tuttavia già occupato dalla propria stagione (ecco che il tanto chiacchierato auditorium, il cui progetto nacque e morí in fretta ormai più di dieci anni fa, sarebbe stato estremamente comodo). Resto comunque molto ottimista sul prosieguo della stagione, per quanto riguarda il pubblico, dato che, numeri alla mano, l’anno scorso il pubblico giovane è cresciuto considerevolmente sino a superare il pubblico più anziano e che le politiche degli abbonamenti – finalmente -riflettono un interesse a mantenere questo pubblico. Ecco che allora il grosso problema della mancanza di pubblico durante la prima può essere spiegato più in generale da una mancanza di appeal dell’opera stessa, dato che non siamo sui grandi nomi italiani, e dalla mancanza di una buona comunicazione del teatro. La mancanza dello zoccolo duro di abbonati non ha fatto altro che svelare la polvere sotto al tappeto. Oltretutto non aiuta il fatto che le principali testate giornalistiche nelle sezioni locali riducano sempre più lo spazio dedicato al teatro (mi riferisco alle assenze su Repubblica e Corriere del giorno successivo alla prima).
Parlando d’opera, sono d’accordo la scenografia non sia stata all’altezza, pur essendo consapevole del fatto che una scenografia minimale fosse l’unica percorribile visto il fitto calendario dell’Europauditorium. In particolar modo ho trovato fastidioso il fatto che i video fossero proiettati, comparendo quindi anche sui volti dei cantanti. Sono rimasto soddisfatto della direzione della Lyniv, probabilmente la migliore da quando è a Bologna. Dal punto di vista dell’acustica io sono stato aiutato dal mio centralissima posto in centro alla platea, ho saputo infatti che le prime file e quelle laterali sono state le più penalizzate in termini di acustica.
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Non posso che ringraziare per un commento, anche quando dissente da quanto ho scritto. “L’opposizione” è il sale della democrazia, anche quella musicale!
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