Frei aber einsam – Un sito irriverente e libero che recensisce gli eventi musicali. -Di tutti disse mal fuorché di Cristo scusandosi col dir "non lo conosco" – (Epitaffio di Pietro Aretino)
Norma – Bologna teatro comunale nouveau 18 Marzo 2023
MATISSE
Vetta assoluta….
..delle composizioni di Bellini nella sua breve vita (morì a Parigi a soli 34 anni) viene riproposta a Bologna Norma in una nuova edizione nel nuovo makeshift Teatro Comunale Nouveau (il francesismo perchè? un po’ da parvenu..). Grazie alla generosità (!) dell’ufficio stampa del teatro nessuna foto è disponibile e me ne scuso con i lettori perchè, comunque sia, l’impressione visiva è sempre importante quando si tratta di musica e scena. Diciamo subito che la regia (giustamente parzialmente buhhata al termine dello spettacolo) è un flop assoluto. Su un piano inclinato (il motivo della pendenza è ignoto se non a causa della ristrettezza dello spazio del palcoscenico per aumentarne fittiziamente la larghezza) nella parte posteriore della scena si assiste a una ripetuta scena di violenza (con tanto di stupri – nella prima scena – di decapitazioni con falce e luccichio di coltelli, un’ arma bianca che dominerà tutto lo spettacolo) tanto inutile quanto di cattivo gusto (ci è stato risparmiato solo il succo di pomodoro). Purtroppo é una tentazione cui i registi spesso soggiacciono (si ricordi la Entfürung aus dem Serail con l’Isis come protagonista a Bologna nel Gennaio 2017) e nel caso specifico il regista sembra richiamarsi alla vituperata scenografia di una pièce degli anni ’70 di David Hare (The Romans in Britain) al National Theater di Londra. Tutta la scena è a tinte grigie e fosche. Le due eroine sono “imbustate” in un corpetto di cuoio (o simil, un sorta di armatura) che però ne modella le forme salvo – nel caso di Norma – venire avvolta in una cappa bianca quando da combattente deve trasformarsi nella vestale che è il ruolo che il libretto le assegna. Non mancano altri snaturamenti. “Casta diva ” dovrebbe essere cantata su un colle (Salite al colle o Druidi canta Oroveso) mentre qui del colle non c’è traccia. E poi il finale: non c’è traccia della pira sulla quale Norma e Pollione (nome assai sfortunato per la rima possibile – nomen omen) dovrebbero gettarsi mentre qui con il solito pugnale Norma uccide il fedifrago amante per poi suicidarsi. Ma tout se tient se recentemente abbiamo visto Otello sopprimere Desdemona con una rivoltella (nel ‘500!!). Anche la direzione di Pìer Girogio Morandi è lungi dall’essere memorabile. Il direttore allarga spesso a dismisura i tempi (ad esempio nell’ouverture del primo atto) ma tutta l’opera risente di questa impostazione mentre qui siamo in un contesto che dovrebbe avere un carattere marzial-ieratico. E anche nel celebre duetto fra Norma e Adalgisa del secondo atto è mancata un direzione energica e soprattutto drammatica favorendo invece una impostazione belcantistica. Le voci. Sopra tutti l’Adalgisa di Veronica Simeoni (una vaga rassomiglianza ad Astrosamanta), un mezzosoprano dalla voce importante e profonda in grado di esprimere compiutamente il travaglio interiore del personaggio. Un plauso incondizionato se non nei due acuti che la parte le riserva e che chiaramente sono al limite della sua estensione vocale. Quanto a Norma – Francesca Dotto – una prova di grande ma non eccezionale qualità e che è venuta migliorando nel corso dell’opera. Purtroppo la mai sufficientemente celebrata Casta Diva viene proposta poco dopo l’entrata in scena di Norma – “a freddo” si potrebbe dire – ma soprattutto la scellerata posizione dell’orchestra (e l’acustica approssimativa del teatro) hanno ridotto di molto la qualità dell’aria. Buona ma non di più. Un soprano che merita di essere riascoltata in un contesto teatrale degno di questo nome. Quanto al “povero” Pollione, personaggio chiaramente non amato da Bellini, Stefan Pop fa quello che può ma è lontano dalle prestazioni dei grandi tenori (si ricordava a teatro Franco Corelli, per fare un nome) e non sorpassa una stentata sufficienza. Nella norma (si scusi il gioco di parole) gli altri protagonisti. Un successo tiepido sia per il numero ridotto di spettatori sia per la mancanza (finalmente !) della clacque che non ha richiesto applausi specifici ai vari protagonisti. Una nota positiva viene dal fatto che finalmente sulla prima pagina di Repubblica di Bologna viene pubblicata una recensione dell’opera (non più la solita inutile presentazione pre-opera) i cui giudizi in buona parte coincidono con quanto qui pubblicato. Pare però che l’articolo compaia solo sull’edizione per abbonati. una cosa priva di qualunque senso. Una rondine non fa primavera ma con i chiari di luna cui siamo purtroppo abituati non si può che rallegrarsene. Facciamo voti che la prassi venga ripetuta per le prossime opere.
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Peak of Bellini’s partitures in his short life (he died in Paris only 34 years old) is staged in Bologna Norma in a new edition in the new makeshift Teatro Comunale Noveau (the French name why? “parvenus .”.). Thanks to generosity (!) of the theater’s presso office no photos of the perfromance are available and I apologize to readers because, in any case, the visual impression is always important when it comes to music and scene. Let’s say right away that the direction (rightly partially “buhhed” at the end of the performance) is an absolute flop. On an inclined plane (the reason for the slope is unknown except because of the narrowness of the stage space to increase its width fictitiously) in the back of the scene there is a repeated scene of violence (complete with rapes – in the first scene – of beheadings with sickle and glitter of knives, a white weapon that will dominate the whole performance) as useless as it is in bad taste (we were spared only the juice of tomato). Unfortunately this is a temptation to which directors often submit (remember the Entfürung aus dem Serail with Isis as the protagonist in Bologna in January 2017) and in this specific case the director seems to refer to the reviled scenography of a play of the 70s by David Hare (The Romans in Britain) at the National Theater in London. The whole scene is gray and gloomy. The two heroines are “wrapped” in a leather bodice (or similar, a sort of armor) that however shapes the body except – in the case of Norma – being wrapped in a white cape when from fighter she must transform herself into the vestal which is the role that the booklet assigns her. There are other distortions. “Casta diva” should be sung on a hill (Salite al colle o Druidi sings Oroveso) while here there is no trace of the hill. And then the end of the tragedy: there is no trace of the pyre on which Norma and Pollione should throw themselves while here with the usual dagger Norma kills the unfaithful lover and then commits suicide. But tout se tient if recently we saw Othello suppress Desdemona with a revolver (in the fufteenth century!!). The direction of Pìer Girogio Morandi is also far from memorable. The conductor often lengthens the time dramatically (for example in the overture of the first act) but the whole opera is affected by this setting while here we are in a context that should have a martial-hieratic character. And even in the famous duet between Norma and Adalgisa of the second act, an energetic and above all dramatic direction was missing, favoring instead a belcanto setting. The voices. Above all the Adalgisa by Veronica Simeoni, a mezzo-soprano with an important and deep voice able to fully express the inner travail of the character. An unconditional applause if not in the two treble that the part reserves for her and that clearly are at the limit of her vocal range. As for Norma – Francesca Dotto – a performance of great but not exceptional quality and that has improved in the course of the opera. Unfortunately, the never sufficiently celebrated Casta Diva is proposed shortly after the entry on stage of Norma – “cold” one could say – but above all the wicked position of the orchestra (and the approximate acoustics of the theater) have greatly reduced the aria quality. Good but no more. A soprano that deserves to be heard again in a theatrical context worthy of the name. As for the “poor” Pollione, a character clearly not loved by Bellini, Stefan Pop does what he can but is far from the performances of the great tenors (Franco Corelli remembered at the theater, to name a few) and does not surpass a stunted succinctness. In the norm the other protagonists. A lukewarm success both for the reduced number of spectators and for the lack (finally!) of the clacque that did not require specific applause from the various protagonists.
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