MATISSE
Privo di premi ..
… di alto livello Igor Levit (russo naturalizzato tedesco) si presenta con un programma classicissimo che naturalmente si offre al confronto con le grandi interpretazioni dei più acclamati pianisti di tutte le epoche. Una sorta di sfida, quindi, con un risultato alterno. Opere della grande maturità beethoveniana permeate come in tutte dalla fuga (o dal “fugato” come nell’op. 109 e 111) come asse portante dell’architettura compositiva (si pensi solo all’op.106 e alle variazioni Diabelli op. 120 per non parlare dell’op. 102 n.2 per violoncello e pianoforte). Per l’op. 111 (che si chiude con la famosa “arietta”) sembra che alla domanda sul perché dell’assenza di un ultimo tempo Beethoven rispondesse che “non aveva avuto tempo“. Che sia stata stata una scelta consapevole o meno, certamente è la conclusione stratosferica del ciclo delle 32 sonate per pianoforte. L’esecuzione di Levit è di altissima qualità in tutte le sezioni melodiche. Dispone di un pianissimo pieno di qualità interpretative in grado di sviscerare il significato recondito del brano interpretato. Ma cede invece al virtuosismo nelle parti più mosse. Ad esempio il grande finale dell’op. 110, con il tempo della fuga grandiosamente accompagnato dalla mano sinistra viene ridotto a un esercizio di tecnica facendo sfumare totalmente il significato del brano eseguito. Lo stesso dicasi per il secondo tempo dell’op. 109 e il secondo tempo dell’op. 110. E anche il primo tempo dell’op. 111 risente di una impostazione legata ad un tempo esecutivo eccessivo. Quindi luci ed ombre di un interprete che dispone di grandi qualità potenziali che però dovrebbe essere in grado di controllare maggiormente per evitare eccessi del tutto inutili e ingiustificati. Un bis e un buon successo di pubblico.
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(Giovanni Neri 77)
Programma
Ludwig van Beethoven Sonata n. 30 in mi maggiore op. 109, Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110, Sonata n. 32 in do minore op. 111
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With no high level prize. Igor Levit (Russian naturalized German) presents a very classic program that naturally offers itself to the comparison with the great interpretations of the most acclaimed pianists of all ages. A sort of challenge, therefore, with alternate results. Works of Beethoven’s great maturity permeated as in all by the fugue (or by the “fugato” as in op. 109 and 111) as the backbone of compositional architecture (just think of op.106 and the Diabelli variations op. 120 not to mention op. 102 n.2 for cello and piano). For op. 111 (which closes with the famous “arietta“) it seems that when asked why there was no last mouvement, Beethoven replied that “he had not had time”. Whether it was a conscious choice or not, it is certainly the stratospheric conclusion of the cycle of 32 piano sonatas. Levit’s performance is of the highest quality in all melodic sections. He has a “pianissimo” full of interpretative qualities able to underline the hidden meaning of the interpreted piece. But instead he yields to virtuosity in the most of the fast parts. For example, the grand finale of op. 110, with the theme of the fugue grandiosely accompanied by the left hand is reduced to an exercise of piano technique making the meaning of the piece performed totally lost. The same applies to the second mouvement of the op. 109 and the second mouvement of op. 110. And also the first mouvement of op. 111 suffered from an approach based on an excessive executive time. So lights and shadows of an interpreter who has great potential qualities that he should be able to control more carefully to avoid completely unnecessary and unjustified excesses. An encore and a good success of public.
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