Operistica

Il trovatore – Bologna Teatro Comunale 22 Gennaio 2019


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Madre ….”Mother
   .. non dormi?“. Basterebbe questa domanda posta a chi la mattina seguente sará giustiziata sul rogo per qualificare lo sgangherato polpettone dove la fanno da padroni „Di quella pira“ e il suo acuto, famoso come il famosissimo „Vincerò“. A qualcuno piace: io lo trovo scandalosamente ridicolo e grottesco. Un’opera consiste di libretto e musica (e poi di canto e rappresentazione): non basta una componente (nel caso specifico quella musicale) a farne un capolavoro. Ma tant’è: pare che de “Il trovatore” un teatro come il Comunale non riesca a fare a meno, visto che lo ripropone dopo la stagione 2012/2013, a riprova di una pochezza organizzativa e culturale che crede di ammiccare a un pubblico incolto nella speranza di migliorare la performance finanziaria senza capire che le recenti bocciature sono dovute anche a una valutazione critica negativa della programmazione. Ma veniamo all’edizione 2019. Il nome è Bob Wilson, un regista sulla cresta dell’onda a livello internazionale per il quale il comunale non bada a spese (giustificatamente?).

Come recita Orazio nell’ “Ars Poetica” Parturiunt montes (Wilson) nascitur minusculus mus (Trovatore). Siamo al minimalismo puro dove tutto è giocato sulle ombre e le luci (ci si ricorda del Macbeth?) in un palcoscenico rigorosamente vuoto (fra un po’ anche i cantanti saranno avatar tridimensionali sintetizzati da un computer). Immersi in una luce biancazzurra con i volti direttamente illuminati i protagonisti si muovono per lo più con gesti a scatto come marionette quasi a simboleggiare che non sono protagonisti veri ma burattini di un destino che non possono controllare. Quello che nella intenzione del librettista sarebbe uno svolgimento (se così si può chiamare l’azione) temporale è qui riportato in una visione orizzontale dove passato e presente si fondono quasi a simboleggiare l’assenza di qualsiasi significato. Sullo sfondo si muovono gli elementi del coro che via via rappresentano le schiere del conte di luna, dei gitani o di Manrico (che riesce a portarsi via la bella Leonora mentre il conte assiste passivo – potenza dell’assurdità dell’opera peraltro sperimentata anche nell’Ernani dove l’esigenza del concertato fa a pugni con la logica). Ma l’opera di straniamento di Wilson ha il fiato corto stemperandosi in una ripetitività che alla fine annoia. A questo concorrono le posizioni quasi sempre statiche dei protagonisti, una fissità che rimuove l’espressione che dovrebbe accompagnare quanto espresso dal canto. E nulla si può dire dei costumi se non di quelle inserzioni oniriche di figurette che potrebbero sbucare da un quadro surrealista di Dalì e che costituiscono l’unico elemento ravvivante di uno spettacolo desolante.  Si aggiunga la presenza all’inizio dei due atti di un vecchietto con una lunga barba bianca seduto in palcoscenico la cui funzione (colpa della incapacità del sottoscritto) è assolutamente ignota se non dal punto di vista estetico. A tutto questo va aggiunta una sorta di avanspettacolo all’inizio della seconda parte dell’opera costituito da un’esibizione di pugili usciti da un quadro di bagnanti impressionistico a cavallo fra XIX e XX secolo.  L’esibizione “pugilistica” dura un buon quarto d’ora con rumoreggiamenti del pubblico e parrebbe compensare l’assenza del balletto della versione francese. Pura estetica senza alcun riferimento all’opera. Mah.
Le voci. Sopra di un largo palmo la Leonora di Guanqun Yu che pur non dotata di una grandissima potenza vocale ha però nelle sue corde tutto il repertorio drammatico e lirico necessario al personaggio. In tutte le sue arie trova sempre la cifra giusta e merita quindi un plauso incondizionato. Accettabile ma senza particolari entusiasmi l’Azucena di Nino Surguladze che non sempre riesce a rendere la drammaticità e soprattutto il maleficio del personaggio in cerca di una vendetta riparatrice. Peccato perché per molti aspetti a questa voce Verdi affida larga parte del dramma (se così si può chiamare) del Trovatore (piacevano molto al pubblico verdiano questi personaggi malefici e arcani. Si pensi anche all’Ulrica del Ballo in maschera). Assolutamente insufficiente il Manrico di Riccardo Massi a partire delle note iniziali fuori scena incerte e opache. Opacità e staticità che viene ripetuta nel corso di tutta l’opera. Appena sufficiente il Conte di Luna di Vasily Ladyuk che ha sostituito Dario Solari messo fuori combattimento dal male di stagione. Altrettanto dicasi degli altri protagonisti del cast. Una nota positiva invece per il direttore Pinchas Steinberg che ha diretto con piglio sicuro l’orchestra accompagnando sapientemente le non facili arie dell’opera. Un successo contenuto (gli unici applausi convinti durante l’esecuzione sono stati quelli per Guanqun Yu) nonostante l’opera sia di quelle che sono fin troppo conosciute al pubblico.  Di certo non una prima in grado di risollevare una gestione, un management e un comitato di indirizzo allo sbando che spera di aggrapparsi a opere di grande repertorio per salvare il teatro. Sed de hoc satis.
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.why you don’t sleep” is  a ludicrous question addressed to a person about to be executed which would be sufficient to qualify the ridicolous “libretto”  of “Il trovatore” where the aria “Di quella pira” is famous as the “Vincerò“of “Turandot”.  Someone likes this opera: I don’t. I find the libretto just  unbearable: an opera consists of drama and music. When one of these two components is very bad the entire opera is bad. It seems as if the management of the teatro comunale can’t miss it, since it replicates  this opera already staged in the sesason 2012-2013. The only possible interpretation is that the (mis)management hopes to improve the very poor financial situation of the theatre through popular operas without understanding that its disaster is very likely due the very low quality of its seasons. But let’s come to the 2019 edition. The name is Bob Wilson, a director very famous at international level for whom the theatre is ready to pay any expense (justifiably?). As Horace says in his “Ars Poetica ” Parturiunt montes (Wilson) nascitur minusculus mus (Trovatore). We are in presence of pure minimalism where everything is based on shadows and the lights in a rigorously empty stage (in a while even the singers will be three-dimensional avatars synthesized by a computer). Inserted in a white-blue light with the faces directly illuminated the protagonists move mostly with gestures like puppets to symbolize that they are not real protagonists but puppets of a destiny that they cannot control. What in the libretto is a temporal unfolding (if you can call so the action) is here displayed in a horizontal view where past and present merge almost to symbolize the absence of any meaning. In the background are the elements of the choir that gradually represent the hosts of the Conte di Luna and the Gypsies of Manrico (who manages kidnap the beautiful Leonora while the count assists passive  – power of the absurdity of the work, however, also experimented In Ernani where the need for the concertato is in contrast with the logic). But Wilson’s work falls short, distempering himself in a repetitiveness that is eventually boring. To this contribute the almost always static positions of the protagonists, a fixity that removes the expression that should accompany what is expressed by the music. And nothing can be said of the costumes except those oneiric little figures that could come out of a surrealist picture of Dali and which are the only living element of a distressing performance. Add the presence at the beginning of the two acts of an old man with a long white beard seated on the stage whose function (fault of the inability of the undersigned) is absolutely unknown if not from the aesthetic point of view. To all this is added a sort of low level play at the beginning of the second part of the work consisting of a performance of boxeurs taken from a picture of impressionist swimmers half way between XIX and XX century. The “boxing” exhibition lasts a good quarter of an hour with public noises and it was inserted to compensate for the absence of the ballet of the French version. Pure aesthetics without any reference to the work. Mah. The voices. A wide cut above the Leonora of Guanqun Yu, who although not endowed with a great vocal powe has all the dramatic and lyrical repertoire necessary to the character. In all her arias she always finds the right tone and therefore deserves an unconditional applause. Acceptable but without enthusiasm the Azucena by Nino Surguladze that does not always manage to make the drama and especially the evil of the character in search of a reparatory revenge. Pity because in many respects to this voice Verdi entrusts a large part of the drama (if it can be so called) of the Trovatore (Verdi’s followers liked very much these evil and arcane characters. Think also of Ulrica of the Ballo in maschera). The Manrico by Riccardo Massi is absolutely insufficient, starting from the uncertain and opaque initial off-stage notes. Opacity and static that is repeated throughout the opera. Just sufficient the Conte di Luna of Vasily Ladyuk who replaced Dario Solari put out by the flu. Equally the other protagonists of the cast. A positive note instead for the director Pinchas Steinberg who directed the orchestra safely and skilfully accompanying the non-easy arias of the opera. A reduced success (the only convincing applause during the execution were those for Guanqun Yu) although the opera  belongs to those which are too well known to the public. Certainly not a premiere to save a management and a steering committee that hope to cling to works of great repertoire to save the theater. Sed de hoc satis.
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Cast
DIRETTORE Pinchas Steinberg
REGIA, SCENE, LUCI Robert Wilson
CO-REGISTA NICOLA PANZER
COLLABORATORE ALLE SCENE STEPHANIE ENGELN
COLLABORATORE ALLE LUCI SOLOMON WEISBARD
COSTUMI  JULIA VON LELIWA
TRUCCO MANU HALLIGAN
ASSISTENTE ALLA REGIA GIOVANNI FIRPO
DRAMMATURGIA JOSÉ ENRIQUE MACÍAN
MAESTRO DEL CORO ALBERTO MALAZZI

CONTE DI LUNA Vasily Ladyuk
LEONORA Guanqun Yu

MANRICO Riccardo Massi  

FERRANDO Marco Spotti

INES Tonia Langella

UN VECCHIO ZINGARO Nicolò Donini
RUIZ | UN MESSO Cristiano Olivieri
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
con il Teatro Regio di Parma
e Change Performing Arts
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3 risposte a "Il trovatore – Bologna Teatro Comunale 22 Gennaio 2019"

  1. Sandra Festi ha detto:

    Ho assistito all’ esecuzione del Trovatore nell’ ultimo giorno programmato. Ho detto esecuzione a ragion veduta perchè il bell’ effetto catartico delle passioni che agitano tutti i quattro personaggi e che danno vita a un canto magnifico, con questa regia di Robert Wilson viene congelata mummificata. Tempo fa vidi “Il trovatore” messo in scena dalle marionette dei Colla e vi assicuro che l’ effetto era più trascinante. La musica deve imprimersi nei movimenti. Ma la regia non ha saputo nemmeno dare la misura ai passi delle due bamboccione che non si muovevano a tempo.
    Buono il secondo cast.
    Incongruo e noiosissimo l’ incontro di pugilato. Resta uno degli interrogativi della mia vita di melomane.

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  2. Roberto Barilli ha detto:

    Un amico incontrato questa sera a Modena (Ka Forza del Destino ….) mi diceva che il vecchietto in scena era G Verdi.
    E conveniva con Lei sulla povertà sostanziale dello spettacolo …
    Fine del contributo a Kurvenal!

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